Occidente chiama Oriente (e magari viceversa)

 Ultimamente mi è capitato di vedere film in cui si tenta di unire due anime, Asia e Europa. Lo si prova a fare con uno stile minimale, intimista, ma che al suo interno racchiude credo un'ambizione di sintesi. I due mondi sono spesso distanti, ma non così come si creda. Complice la globalizzazione e le campagne di promozione spesso aggressive di Giappone e Corea nel pubblicizzare e diffondere i propri film e la propria industria culturale. Le serie tv coreane, per esempio, sono ormai popolari e molti autori cinematografici sia coreani che giapponesi sono presenti ai vari festival. Di seguito segnalo i film che sono appunto una sintesi produttiva o creativa di questi mondi, che mi hanno particolarmente colpito.

 

Ritrovarsi a Tokyo

(Une part manquante) 
di Guillaume Senez, Francia, Belgio, Giappone, USA, 2024, 98' 

Un padre francese separato dalla moglie giapponese perde il diritto di vedere la figlioletta e per nove anni spera di incontrala nel labirinto della capitale giapponese. Un colpo di fortuna gli verrà incontro. Un film con due chiavi di lettura: quella testuale, della storia, e una simbolica. Il francese cerca di adattarsi alle regole giapponesi, aspetta pacato, zen, senza protestare e vaga col suo taxi per nove anni alla ricerca della figlia che nel frattempo è cresciuta e non sa nulla di lui. Sta per rinunciare, ma il caso lo aiuterà. All'evento inaspettato però seguirà il "risveglio", l'uscita dalle rigide regole imposte dal paese di cui si sente ospite e cercherà di ottenere quello che sente un suo diritto: un legame con la figlia. Chi siamo? Come ci comportiamo? l'identità sociale è veramente tutto? E' più utile nascondersi nel traffico caotico di una città o uscire allo scoperto e rivendicare una propria via alla felicità? Sembrano essere le domande del sottotesto. L'attesa e l'armonia, il desiderio e la speranza, il caso e la necessità di agire se necessario. In questo film la scelta di Tokyo rappresenta il "caos calmo", la struttura sociale abnorme che in modo misterioso tiene a bada l'individualità (una scimmietta chiusa in un appartamento vuoto) e che preserva chi ne è dentro per diritto di nascità o perchè non disturba il sistema. Tuttavia ci sono forze ataviche, primordiali (il meticciato e la mescolanza di culture e identità) che in un modo o nell'altro hanno l'urgenza di emergere. Il risultato però non può essere necessariamente un lieto fine da favola. Bravissimo Romain Duris, il protagonista, e interessante la regia di un film ben costruito che regge in modo credibile i due piani di lettura. 

 

Un inverno in Corea

(Hiver à Sokcho) 
di Koya Kamura. Francia, Corea del Sud, 2024, 104'
 
 
Una figlia mezzo sangue, metà coreana e metà francese, incontrando nella pensione dove lavora, uno strano fumettista francese, se ne invaghisce non contraccambiata, tuttavia l'incontro le permetterà, forse, di comprendere meglio chi sia lei. Anche con questo film sono evidenti i due piani di lettura: la storia e la metafora. E' un film ambizioso, forse fin troppo. Alla questione identitaria (la protagonista è soprannominata spilungona per via dell'altezza, ma anche per le origini miste) si somma la questione della forma, del modellamento di corpo e mente. La ragazza è fidanzata con un quasi fotomodello che parla solo di interventi chirurgici per migliorare l'estetica, ci va a letto senza troppo trasporto. Di giorno lavora come tuttofare per una modesta pensione, una vita al limite dello squallore noioso di una cittadina di confine. Il confine è la linea demilitarizzata da est a ovest che divide la Corea in due, ma la linea è anche quella del corpo (ci sono varie scene interessanti su corpi, curve e specchi), oppure le linee tracciate dal fumettista (poca roba visibile a dire il vero), ma soprattutto le linee immaginate, forse sognate, dalla protagonista che nel film vengono visualizzate sottoforma di brevi animazioni.
L'incontro tra queste due anime, porta lentamente a rafforzare il desiderio nella ragazza di procedere per la propria direzione, indossando gli occhiali che tutti le suggeriscono di eliminare facendosi l'operazione della miopia. Insomma, carne al fuoco ce n'è, e la matassa va sbrogliata. Interessante che la regia sia di un regista franco-giapponese che decide di girare un film in Corea e non in patria. Siamo cittadini del mondo, ma non sempre è così semplice vivere queto mondo e con tutta probabilità abbiamo bisogno di occhuiali per nasconderci dietro ma anche per oasservare meglio la realtà. E finora il cinema è ancora fondamentalmente una lente che permette di raccontare storie e vite. Un buon film, che forse andava limato di più e depurato da qualche cliquet di troppo, ottime musiche.
 
 

Past Lives

di Celine Song, USA 2023, 106'
 
 
Di questo film ho già parlato in un altro post. Qui è tutto esplicito, una vicenda di perdita delle proprie origini coreane per poi ritrovarle pur nelle difficoltà di un quasi menage a trois tra Asia e America. Rispetto ai film precedenti c'è una rtificiosità che per me risulta fastidiosa, di maniera. frutto forse delle condizioni privilegiate dell'autrice che non le permettono, credo, di scendere dal piedistallo della forma (e del privilegio).  Detto questo anche in questo film c'è il tentativo di sintesi tra due mondi e due modi di essere.

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