di Shunji Iwai
Giappone 1995
Il 6 dicembre scorso (siamo nel 2024) è stata trovata morta nella vasca da bagno Miho Nakayama, una cantante e attrice giapponese. Nel 1995 io avevo ventidue anni e lei l'età di mio fratello, tre anni in più, insomma generazioen simile. In quell'anno uscì un film giapponese dal titolo "Love letter" scritto e diretto da Shunji Iwai, un regista a cui piacciono letteratura e poesia. Love letter è una favola sulla perdità e sulla possibilità della parola scritta di lenire la perdita e trasformarla. Ma siamo in presenza di un film e non di un romanzo, pertanto l'immagine è fondamentale, come la musica e il corpo degli attori.
Il film racconta una storia parallela che potrebbe ricordare vagamente "la doppia vita di veronica" di Kieslowski. C'è un doppio, c'è una distanza, c'è la morte. Ma i paralleli si fermano a poche questioni, i due film sono diversissimi per stile e per idea. Quanto il film polacco rappresentava una separazione forzata, culturale, con conseguenze drammatiche, in questo film la separazione è voluta, curativa. C'è una sequenza molto intensa che omaggi il film di Kislowski, ma che appunto ne sottolinea la differenza. Le due donne, le due metà siamesi, quasi si incrociano, si vedono per un momento, ma poi si perdono nella folla che le avvolge e ricorda allo spettatore che sebbene gli altri siano di ostacolo alla propria vita interiore, tuttavia questi altri sono anche la barriera di salvezza verso la follia e la chiusura in se stessi.
Ma procediamo per gradi. Love letter è innanzitutto una fiaba. E' anche un coming of age. Ma è anche il ritrovamento di un tempo perduto, fatto di ricordi, alcuni vividi, altri confusi, altri persi e altri ancora modificati. Le due protagoniste sono la medesima persona splittata in luoghi e vite differenti. Per uno strano e del tutto irreale gioco di parole entrano in contatto e il mezzo che usano è la scrittura. Dove la realtà esige razionalità, oggettività, praticità, superamento dei problemi verso una progettualità futura, la scrittura consente invece l'irrealtà e il soffermarsi su dettagli ed emozioni.
Il film inizia con la protagonista "anestetizzata" nel gelo che poi in campo lunghissimo attraversa un prato bianco di neve per dirigersi al rito funebre di ricordo a due anni dalla morte del fidanzato: neve, luce fredda, riti e goliardia da alcool nel centro del Giapponese, a Kobe. Per poi spostarsi in Okkaido, sempre immerso nel freddo e nella neve, ma con interni caldi e accoglienti. L'altra metà della protagonista fa la bibliotecaria e vive con madre e nonno in una vecchia casa da fiaba mezza diroccata.
Il film è un continuo gioco tra la realtà, azzurra e fredda, e il ricordo rievocato, caldo e accogliente.
Il dialogo epistolare tra le due metà servirà a rielaborare il lutto, ma anche a costruire un legame indissolubile con quel ragazzo morto per un incidente in montagna che non era stato mai in grado di rivelare il proprio amore in forma esplicità a nessuna delle due metà.
Questo recupero della verità, del ricordo e dei sentimenti, averrà sottoforma di un nome scritto ben 87 volte su altrettanti libri e il ritratto nascosto dietro uno dei segnalibri con la data di prestito dell'ultimo libro dalla copertina bianca e dall'evocativo titolo della famosa opera di Proust.
Un film di sentimenti, recitato da una bravissima Miho nakayama e circondato da tanti altri personaggi surreali, caricature di altrettante altre dimensioni umane.
Dunque una fiaba e come ogni fiaba ricca di significati e sfaccetature.
PS: nel 2020 lo stesso Shunji Iwai ha girato un film intitolato the "Last Letter" che riprende i temi cari al regista del doppio, della scrittura epistolare, del lutto e della perdita.
Qui sotto il trailer coreano del film (non ho trovato un trailer internazionale di qualità acettabile)
https://www.youtube.com/watch?v=wNZSguZzkzI
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