di Tanada Yuki
Giappone, 2008
Suzuku si ribella alla violenza della società maschilista giapponese e ne paga le conseguenze. Vorrebbe un’autonomia che finisce per scontare in carcere, per colpa di un intruso ingombrante, arrogante e insensibile che la ragazza tenta di espellere fisicamente dai suoi spazi vitali. Uscita dalla breve galera, è intrappolata in una famiglia insensibile e nel rancore di un fratellino che tenta di trasferire su di lei la frustrazione di essere quotidianamente bullizzato dai compagni di classe. Suzuku racimolerà 1 milione di yen, circa 8 mila euro, il necessario per partire e ricominciare da capo in altri luoghi. Proverà in un posto di mare, a fare gelati e cucinare, poi in montagna a raccogliere pesche e infine in una cittadina minore alle porte di Tokyo a vendere piantine d’appartamento. In tutti e tre i casi si ritroverà sempre imbrigliata in situazioni fastidiose, dove qualcosa o qualcuno vorrebbe ricondurla ai canoni sociali accettati. Parallelamente il fratellino subirà continue angherie a scuola. Non svelo i dettagli, perché questo film è fatto di dettagli. Si regge completamente sulla protagonista, la sua delicatezza, il suo sguardo imbarazzato, che non le impediscono di reagire. Tuttavia la sua non è una rivoluzione, al massimo una fuga per cercare di sbarazzarsi degli stereotipi e della rigidità della società nipponica. Lo scotto da pagare è la solitudine. Un piccolo film molto intenso, minimale e forte nella sua metafora suggerita con delicatezza e leggerezza. I toni sono drammatici, ma all’interno di un quadro quasi surreale, a tratti leggero. Una scrittura precisa della regista e sceneggiatrice e un’ottima recitazione della giovane attrice che comunica tantissimo attraverso ipercettibili accenni di sguardi e posture del corpo. Del resto recitare è fare uso di corpo, voce e anima.
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