The Phone of the Wind (NHK 2016)


La televisione giapponese NHK nel 2016, a distanza di cinque anni dal devastante tsunami che uccise migliaia di persone, ha prodotto un documentario su una cabina telefonica bianca, installata nel giardino di Itaru Sasaki a Otsuchi, che ha la "capacità" di mettere in contatto i vivi con i defunti dello tsunami, spesso dispersi mai ritrovati. Lui l'aveva costruita dopo la morte del cugino, per cercare di rimanere in contatto e dopo i fatti disastrosi del 2011 ha deciso di metterla a disposizione di tutti. All'interno della cabina c'è un vecchio telefono nero che ha la peculiarità di non essere collegato alla linea telefonica... così, dice il proprietario, sarà il vento a portare le parole. Il documentario è toccante, a tratti poetico. Guardandolo mi sono chiesto più volte se qui in occidente, in Italia, potesse funzionare. Li, in Giappone decine di migliai di persone si sono recate nella cabina bianca, singoli sopravvissuti che hanno perso mariti, mogli, figli, genitori. Non solo residenti di Otsuchi, ma da tutto il Giappone. Il documentario segue alcune persone, racconta con molta delicatezza la perdita e "ascolta" le parole che vengono affidate al telefono nero. In Giappone, credo, la psicoanalisi e la terapia psicologica non ha lo stesso successo che hanno in occidente. Le persone, specialmente se avanti con l'età sono diffidenti. Dunque si preferisce tenere dentro, ma come fare a tenere dentro la perdita di senso dopo aver perso un proprio caro per colpa di un'onda anomala? al trauma del disastro, si aggiungono  il trauma di aver perso casa, paese, lavoro e la vita di qualcuno con cui si condivideva quella vita. Nemmeno un giapponese abituato a nascondere le emozioni può farcela. Dunque la cabina bianca (il bianco in asia è spesso il colore del lutto), permette a uomini e donne, giovani e anziani di parlare con il proprio caro e confidargli la propria angoscia. Una cabina dall'indubbia funzione terapeutica. Una cabina di tutti, per cercare di curare, lenire un trauma collettivo alimentato da tanti dolori individuali. Il documentario non si dilunga in scene strappalacrime, gioca sulla sottrazione: qualche parola, inquadrature essenziali utili a cogliere gli stati d'animo del momento, le storie solo accennate di chi percepiamo immediatamente come un nostro simile. Molto bello e toccante. Si può vedere online in un inglese piuttosto comprensibile e con i sottotitoli inglesi.


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