Anche qui i padri muoiono

(Racconti brevissimi)

 

Mio padre giace morto sul letto dell'obitorio. Da tre giorni mia madre e io siamo qui ad aspettare le visite di amici e parenti. Solite frasi di rito in questo spazio asettico dall'odore nauseabondo di disinfettanti dolciastri. L'ultimo giorno c'è via vai di inservienti che portano altri cadaveri. Guardo mio padre e mi pare si muova, la forza della suggestione. Saranno i gas che gonfiano e sgonfiano il corpo del defunto, razionalizzo. Strizza gli occhi chiusi, come se volesse svegliarsi. Le gambe fanno uno strano movimento, per sgranchirsi. Sul volto di cadavere inanimato, torna il leggero turgore di vita. Penso di essere pazzo. Non dico niente a mia madre, perchè dopo tutte le lacrime versate, ora la vedo persa in uno sguardo assente, vestita ordinata e precisa, a lutto. All'inserviente che passa con dei moduli da compilare chiedo di controllare. Quello mi lancia un'occhiata di compatimento, pensando chissà cosa di me, però poi lo vedo sussultare. Mi tocca il braccio e dice che in effetti ha visto dei movimenti inaspettati. Guardiamo tutti e due da vicino e le gambe di mio padre si flettono, il torso ha uno scatto, anche se occhi e bocca rimangono serrati. L'inserviente corre a chiamare il responsabile sanitario. Nel frattempo quel corpo si mette a sedere sul lettino, sempre cieco e muto. Mia madre non dice nulla, persa nei suoi pensieri. Dopo interminabili minuti sopraggiunge un giovane medico in camice bianco che guarda mio padre e scoppia a ridere, una risata cinica,  poco rispettosa, ma divertita dalle ragioni che immediatamente dopo spiega all'inserviente. Gli dice: non ci posso credere! Il certificato di morte l'ha firmato il primario (ride), che fesso, ha certificato la morte di uno vivo! (ride e ride ancora). A me montano rabbia e la tristezza insieme. Mi avvicino a mio padre, gli tocco la mano fredda, cerco di capire se mi sente, se può parlare; un pensiero asettico, che in tale stato non possiamo di sicuro fargli il funerale e cremarlo, si fa spazio nella mia testa, intervallato dalla risata del medico che si allontana.
Poi è un susseguirsi di addetti ai lavori, medici, infermieri, inservienti delle pompe funebri. Lui, mio padre se ne sta li, seduto sul lettino, facendo dondolare di quando in quando i piedi penzoloni e massaggiandosi lentamente le gambe. Sembra quasi sorridere, ed è come se si rifiutasse di guardare. Al tatto è freddo, alla vista è pallido e tranquillo. Ognuno dice la sua, chi gli ausculta il cuore da sopra la camicia, chi col martelletto verifica i riflessi, chi gli chiede il nome, chi, al proprio vicino, sussurra che prima o poi gli zombie sarebbero arrivati. Sono fuori di me. Mi avvento su quello che pochi minuti prima era ancora un tranquillo cadavere di periferia e, cacciando via a male parole tutti quanti, lo abbraccio, singhiozzando qualcosa di semplice: questo è mio padre!, per nulla interessato ai misteri della scienza medica e alla vita dopo la morte.

Fotografia: Cimitero Monumentale di Milano (maggio 1997)

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