Il terzo omicidio

di Hirokazu Kore-eda
Giappone 2017

Interessante il tentativo di rappresentare per immagini il mistero del patto tra narratore e pubblico. La verità come proiezione delle proprie aspirazioni e desideri, la verità come entità inesistente. Il racconto come strumento di elaborazione del materiale reale per costruire possibilità. Quando muore un proprio caro, per un certo periodo si cercano segnali e contatti "magici" con il defunto, si forza la realtà con l'immaginazione ed eventi senza significato, acquisiscono improvvisamente profondità e coincidenza con ciò che si cerca di superare, ossosa il dolore dell'assenza. In tutto questo il cinema, e più in generale il racconto, sono maestri dell'illusione. Il pubblico proietta se stesso nel racconto. Tuttavai nel "terzo omicidio" c'è una componente anomala: non è un poliziotto che cerca la verità, ma è l'avocato del proprio cliente che non pur non cercandola, pur tentando di costruire una verità di comodo per lui e per il cliente, alla fine intuisce l'impossibilità della verità. Più banalmente la realtà va interpretata, no? E nell'interpretazione cosa ci mettiamo? che parti di noi inseriamo? Il tentativo di nascondere un crimine? oppure di denunciare un abuso? O, ancora, di mostrarsi generosi e altruisti? 

Il giudice è chi guarda (e naturalmente chi racconta). 

Peccato che la messa in scena sia banale, le immagini noiose, già viste (già immaginate?) in tante altre pellicole. Nel complesso un film spento per la tv. Immagini buie econtrastate, domina la luce blu e fredda, piatta, con musiche ambient del nostrano Ludovico Einaudi. Anche gli attori non brillano nel piattume della regia.

Un discreto film che fa pensare, purtroppo privo di vita.




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