Moving on

 di Dan-bi yoon
Corea 2019

Il film coreano si inserisce nel filone dei film asiatici di ambientazione famigliare. Mi vengono in mente i film giapponesi di Koreeda (ritratto di famiglia con tempesta, per esempio). Ricorda anche i film sempre giapponesi di Yamada (Tokyo family, remake del film di Ozu). E, solo in parte, certo film di Hong Kong, che si concentra su famiglia e relazioni (Durian durian di Fruit Chan e il più recente Suk Suk di Ray Yeung). Come stile e intenti si allontana parecchio dall'ormai famoso Parasite e dal cinema simbolico e filosofico coreano come l'intenso Burning, anche se in tutti i casi si affrontano dinamiche famigliari e sociali. Moving on fa sua l'idea dei sentimenti individuali e famigliari come strumenti di comprensione di se' e del mondo. Il microcosmo della famiglia come lente di ingrandimento per il macrocosmo della società intera. Noi siamo quello che viviamo ogni giorno, innanzitutto tra le pareti domestiche, poi tentiamo di instaurare relazioni e costruire mondi e possibilità al di fuori della famiglia di origini, riuscendoci o fallendo. Il punto di vista del film è quello dell'adolescente Okju e del fratellino Donju. Un mondo fatto di silenzi, ma anche improvvisi sorrisi, scherzi e intimità. Fratello e sorella sono anche il padre dei due ragazzini e la sorella di lui che si ritrovano ad accompagnare verso la scomparsa il proprio anziano padre e con lui la memoria di una struttura sociale e culturale superata; forse, non più attuale.
Alla ragazzina imbronciata ma a suo modo intraprendente, si contrappone il fratellino vivace, sorridente e capace di affetto, che passando dalle lacrime alle buffonerie, tiene insieme i vari elementi di una famiglia improvvisata, a tratti penosa e fallimentare. E' lui che ignora le mancanze della madre assente e e che ne mantiene vivo il ricordo e il contatto. La ragazzina imbronciata vuole crearsi un futuro, pur non sapendo bene dove sbattere la testa, prendendo i difetti del passato e cercando di affrontare a suo modo un futuro precario e per nulla rassicurante. Ci sono momenti pieni di significato e di intensità, in un film misurato, controllato e studiato da risultare ordinario, quotidiano, anche noioso (perchè no? la vita è spesso noiosa).
Gli attori sono diretti benissimo. I due ragazzino sono naturali, spontanei e capaci di coinvolgere lo spettatore, segno di una direzione sapiente e partecipe. Alla claustrofobia di un minivan stracolmo di valige o merce improvvisata, si contrappone la luminosità solare di un giardino-orto che produce peperoncini, elemento base della cucina coreana, che fornisce colore e sapore. Attorno al tavolo le persone si incontrano e costruiscono legami che vanno oltre la quotidianità incresciosa e spesso di difficile gestione.

Passato al Torino film festival, merita di essere visto. Di seguito alcuni scatti rubati al film.















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