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Procede la scuola a distanza, accompagnata dalle contraddizioni di un tempo e da quelle nuove. Professori in ritardo sugli orari (alle
volte bigiano del tutto), spesso sottoposti a fermo immagine e audio
balbuziente, in preda al delirio da "proponi la repository file più
complessa che trovi", tutte diverse e complicate, banali link alle
lezioni inviati in modi variegati e dalla sintassi sempre diversa. Un
registro elettronico che consultarlo e tenerlo sottocontrollo richiede
una laurea in ingegneria gestionale. L'orario delle lezioni varia come
varia il clima in primavera. Compiti e consegne a catinelle. Poi giunge
la mail della coordinatrice, che dovrebbe chiarire le modalità delle
lezioni a distanza e nulla chiarisce e tutto scarica sulle capacità famigliari
(controlla, segui, fai, non registrare nulla che è reato, si autonomo). Poi ne
giunge un'altra che fa affidamento sul senso di responsabilità e di
autonomia degli studenti: ragazzine e ragazzini di 13 anni chiusi in
casa da 5 settimane con condizioni sociali, economiche e mentali delle
più diverse e disparate. Problemi di matematica che non riusciamo a
risolvere noi genitori, poesie di fine ottocento da comprendere e
commentare, pure un video dell'Istituto Luce da guardare e un film di
Olmi che non consiglierei al mio peggior nemico per noia e lentezza
(Torneranno i prati). I ragazzini si divertono a buttare fuori i
compagni dalle videolezioni e bullizzare le classi dei più piccoli.
ATTENZIONE, si erge turgida la solita asciutta mail della coordinatrice,
gli studenti sono avvisati di procedere nelel regole e in autonomia nello studio e
nella consegna di compiti ed elaborati che verranno valutati ai fini
scolastici. In tutto questo delirio pasticciato e a tratti squallido ricordo le
parole di un maestro del passato che voleva rifiutarsi di giudicare i
propri studenti e dunque scriveva nel giudizio di legge obbligatorio: "Fa quel che
può, quel che non può non fa”.
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