When they see us - Miniserie Netflix

Miniserie by Netflix



In contemporanea con i fatti cinesi del 1989 (Tienanmen), a NewYork accadeva un'altra vicenda di tutt'altra natura ma che in qualche modo si può ricollegare, metaforicamente parlando.
Un gruppo di 30-40 ragazzini afro di Harlem, la sera del 19 aprile scorazzavano liberi e gaudenti per Central Park, felici delle vacanze primaverili. Terrorizzarono qualche bianco in bici o di corsa, scippando qualche borsellino e tirando qualche pugno e insulto. Nulla di grave o particolarmente efferato, la maggior parte erano ragazzini incensurati di famiglie popolari ma normali, non erano teppisti. Sopraggiunse la polizia che ne fermò un bel po' e li portò in caserma, subito pronta a rilasciarli all'arrivo dei genitori, dato che erano quasi tutti minorenni (dai 13-15 anni).
Se non fosse che in tarda serata venne rinvenuta una donna bianca selvaggiamente picchiata e stuprata, in fin di vita. Linda Fairsten, allora procuratrice per delitti sessuali (penso una specie di gip italiano) associò forzosamente le scorribande dei ragazzini al grave abuso sessuale e in accordo con il commisario e gli agenti della caserma forzò cinque di questi ragazzini a confessare, dopo ore di dentenzione e in assenza dei genitori. Poi si svolse il processo e vennero giudicati colpevoli, nonostante l'assenza di prove e finirono 4 in riformatorio perchè minorenni e uno in carcere perche' appena sedicenne. Gioventù rovinata, direi persa, e vite spezzate per un desiderio razzista e consapevolmente politico (i neri son tutti uguali, tutti delinquenti e pericolosi, ne colpisco a casaccio cinque come segnale e nel frattempo faccio carriera). Per fortuna poi, a distanza di 12 anni un sarta di vago lieto fine, se così lo si può definire. Qui è possibile leggere tutta l storia dei Central Park five, così vennero chiamati.

Veniamo alla miniserie.
Scritta e diretta da Ava du Vernay, regista afro, particolarmente sensibile al tema del razzismo e dei diritti della comunità nera.
Ne fa quattro film quasi indipendenti, per descrivere quattro momenti distinti:

1) La fine del gioco
Giovani ragazzini normali, non teppisti o spacciatori o violentatori, che corrono festosi in gruppo come qualsiasi altro gruppo di adolescenti occidentali. Si ritrovano arrestati e privati di qualsiasi diritto, per il solo fatto di essere neri di pelle e poveri. Li ha inizio la fine della loro giovinezza spensierata e ottimista. Le famiglie crollano, la violenza razzista e di stato urla e distrugge. Un'autorità violenta che se la prende con i più deboli e indifesi, da tutti i punti di vista.

2) Il processo
La tensione si tocca con mano e non si riesce a distogliere lo sguardo dal monitor. Lo spettatore sa che i ragazzini sono innocenti e probabilmente la maggior parte degli attori del processo lo sanno, tuttavia tutti, tranne i ragazzini, sanno anche quale sarà la sentenza. Guilty, colpevoli.
S'infrange il mondo, giustamente il più grande si ribella e urla alla procuratrice di averlo ingannato, di averlo incastrato. E' la verità. Il sistema che viene a nudo è quello di Trump, che all'epoca spese quasi 100.000 dollari per far pubblicare sui giornali incitamenti al ripristino della pena di morte. Era ed è una cultura di prevaricazione e sopraffazione del più debole.

3) La reclusione e il ritorno in libertà.
Secondo me è la parte meno riuscita. Mi sarei soffermato sulla reclusione e non tanto sulla difficoltà del reinserimento. Mi è sembrato un po' forzato e didascalico, poco utile al film. Forse necessario per ricostruire la storia ma un po' fuori binario.

4) Il carcere degli adulti
Episodio finale che segue l'orribile esperienza del sedicenne Korey Wise, buttato in carcere con uomini, criminali e bestie feroci frutto del sistema sociale e carcerario americano. Lui piccolo, ingenuo e indifeso. Rasenterà la pazzia a suon di botte e isolamento. Riprese claustrofobiche si alternano a spazi freddi e pericolosi. La solitudine e la claustrofobia che distruggono un animo puro.

Ava du Viernay ha scelto di seguire le vicende in modo soggettivo, dal punto di vista dei ragazzini, calandosi fisicamente alla loro altezza e cercando di catturare (e far capire allo spettatore) l'impressione e il trauma di un'esperienza del genere. Questo in parte la salva dalla potenziale accusa di manicheismo. Un quattordicennne buttato in quel modo e violentemente nell'età adulta non può che sentire con sproprozionato strazio la lacerazione del suo sogno infranto e dell'ingiustizia subita. E farà fatica a capire cosa realmente stia accadendo e perchè. Non ne avrà i mezzi mentali, bisognerà sperare nell'uscita dal carcere e nella vicinanza della famiglia (se c'e').

Il procuratore, la donna bionda (attualmente scrittrice di romanzi polizieschi), incarna la versione femminile del patriarcato razzista trumpiano, i suprematisti bianchi, un Trump visto in tv, nella sua mostruosità di feroce animale predatore.

Ha fatto bene l'autrice a non adagirsi su cose come la comunità, il supporto e la lotta ai diritti, perche' in definitiva quei 5 ragazzini sono stati lasciati soli e hanno dovuto affrontare tutto da soli. Un agnello sacrificale.

Il film lascia senza parole e rimane vivo per lungo tempo nel profondo senso di colpa occidentale.

PER FINIRE: il collegamento con i fatti cinesi lo vedo nella violenza del potere che ha nella sua natura quella di distruggere la giovinezza, che sia di quattro marmocchi sfortunati, o di un gruppo organizzato di studenti che rivendicano libertà e democrazia, il succo non cambia.

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