Street photography

UN FASTIDIO IRRAZIONALE
quanto non sopporto questa etichetta: "Street photography". Viene utilizzata per indicare le istantanee spesso casuali scattate on the road, all'aria aperta, di solito in città, in luoghi pubblici, piazze, mercati, bar, spiagge, mezzi pubblici, etc etc. Non e' che non mi piaciono le istantanee, anzi (tanto per citare uno dei fondatori e maestri dei reportage "di strada", le fotografie di Cartier-Bresson sono belle e innovative per l'epoca)... tuttavia oggi mi pare sia un'etichetta di maniera... come se la fotografia di strada fosse un genere e uno scopo in se'.... mah, puo' essere.... esiste la fotografia naturalistica, quella pubblicitaria, quella scientifica, quella sociale, quella sportiva, quella di ritratto e anche quella di strada. Ma mi pare un'etichetta superficiale, che ammicca all'idea che occorre andare in strada e cogliere i momenti divertenti, ironici, strani, drammatici per impressionare un idale pubblico. Impressionare in che senso? facendolo divertire con espressioni sceme di chi e' ritratto a sua insaputa? cogliendo associazioni inusuali tra persone e oggetti e architetture? creando geometrie e prospettive di composizione? Intrattenendo il pubblico? pero' forse la "street photography" piu' di altri generi fotografici e' uno strumento "terapeutico" per il fotografo... lo costringe a una qualche forma di socialità e accresce il suo ego tra i colleghi che commneteranno positivamente le sue inquadrature roccambolesche o a limite dell'impossibile e dello strabiliante. :-)

L'ELEMENTO AUTOBIOGRAFICO
a me piace fotografare da sempre, da quando ho 6 anni piu' o meno. la mia prima reflex l'ho ricevuta in regalo a 13 anni (una Fuji STX-2). Non ho mai fatto corsi e tutto quello che so l'ho appreso da solo. attraverso la fototografia ho imparato a conoscere i miei grandi e invalicabili limiti sociali e creativi. Spesso sono pero' tentato dal tecnologismo fotografico, raggiungendo pessimi risultati, o dallo spontaneismo di strada, anche qui con mediocri riusultati. Cio' che mi viene meglio sono le geometrie e le inquadrature statiche di edifici o luoghi... ma ogni volta che scatto una foto del genere e' come se stessi male... e' come se la mia attuale reflex digitale mi ricordasse i miei limiti e la mia paura di cercare di ottenere di piu', di osare, di mettermi in discussione e di comunicare. Comunico "ossessivamente" la rigidità del cemento, della pietra e dell'asfalto, ma cio' che mi piacerebbe affrontare lo tengo lontano.

PERO'
ieri notte, una notte insonne, ho sfogliato questo ebook di "Street photography", bello, godibile, intelligente: un manuale tecnico easy su come affrontare la questione e su come interpretarla in chiave pratica e poco filosofica. lo consiglio, perche' ion fondo sono un tipo pratico e l'approccio tecnico-pratico alla vita mi ispira rispetto e stima. Lo si puo' scaricare direttamente qui o nel sito dell'autore, Thomas Leuthard, uno svizzero felice, non ho capito se trapiantato a New York.

Commenti

Scarlettinas ha detto…
Fin da bambini ci pongono nel dilemma dei limiti invalicabili del giardino incantato: se stai li' dentro tutto va bene, se. Ne esci sei perduto. Osare e' pericoloso per gli equilibri, ma inebriante. Io scrivo da quando ho 8 anni. Se sai che il cemento non ti basta va oltre. Non spetta a te giudicare il tuo lavoro.
onelulu ha detto…
... ma ando' vado?
ah... forse mi piace fotografare tutto sto cemento nella speranza di costruire un giorno il giardino incantato? in effetti puo' essere! :-)
Scarlett o' hara ha detto…
L'inerzia e l'inamovibilità del cemento probabilmente ti attira perche' e' la proiezione del tuo statico superio. In realta' il tu es e' tutt'altro che statico: vola fin troppo e tu lo castri. Si capisce che ho riletto Jung di recente?