Un cuore in inverno


"Un cuore in inverno"
di Claude Sautet
FRANCIA 1992


Nel 1992 avevo diciannove anni. Ricordo di averlo visto al cinema e di aver provato sensazioni simili ad ora, che ne ho trentatre. Il trio di Ravel accompagna l'intero film, destrutturato e spezzato nei vari momenti, alle volte melodioso, altre dissonante e pizzicato, quasi a far male, come le dita della violinista corteggiata e poi rifiutata dal protagonista. La musica è veicolo dei sentimenti, ma anche di bugie: è un sogno e di sogni non si vive, si rimane a bocca asciutta in attesa del prossimo viaggio onirico.

Il protagonista ripara violini assieme al socio che si occupa del lato commerciale. Sono professionisti di alto livello entrambi musicisti mancati, dedicatisi allo strumento più che a ciò che esso è in grado di originare. Il protagonista è uomo schivo, timido, taciturno. Per gioco corteggia la fidanzata del socio, violinista assai bella e dotata, che rimane intrappolata dalla razionalità estrema del liutaio.
Il gioco consente di sperimentare e mettersi alla prova nell'ambito di regole codificate, anche la musica ha regole codificate e spartiti, così come il corteggiamento amoroso e le parole del linguaggio umano. Che cosa differenzia dunque un individuo da un altro? un bravo musicista da un esecutore mediocre? Eterno triangolo tra autore-esecutore-musica.

Il contrasto che si origina smuove i sedimenti del tempo, destabilizza e crea nuove prospettive e nuovi suoni, non senza una buona dose di tristezza e controllata disperazione.

Un film freddo, composto, con improvvisi movimenti incontrollabili dell'animo.

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